I diritti delle donne

Mar 8, 2021 | Io, tu, noi, Pensiero psicoanalitico, Senza categoria

La giornata dei diritti delle donne viene quest’anno celebrata in un contesto di accese polemiche circa la disparità di genere e il linguaggio che lo sottolinea.

È di questi giorni la richiesta formale all’enciclopedia Treccani che riveda la pletora di sinonimi squalificanti e denigratori associati al termine “donna” includendo termini che rispecchino  aspetti più aderenti al ruolo della donna nella società odierna. Sempre in questi giorni ha fatto molto clamore la richiesta di Beatrice Venezi di essere chiamata direttore d’orchestra e non direttrice enfatizzando che il termine declinato al femminile sminuisca il talento e il prestigio esercitato nella sua professione.

“Le parole condannano la realtà ad esistere secondo il modo in cui viene nominata” afferma la scrittrice Michela Murgia, il linguaggio non è mai neutro, porta sempre con sé una scelta e quella scelta riflette la visione del mondo di chi la compie, visione che trasmette consapevolmente o inconsapevolmente nel momento in cui il testo, o il video, o l’immagine che ha realizzato si diffonde. Ciò è particolarmente vero se si parla di mass media, sia perché raggiungono un pubblico molto vasto, sia perché sono considerati fonti dotate di autorevolezza e credibilità

La giornalista Barbara Palombelli, dal palco di Sanremo, ha incitato le nuove generazioni femminili a difendere i diritti per cui la sua generazione ha tanto lottato, ad  impegnarsi e lottare duramente, sottolineando implicitamente che tali diritti sono assodati e vanno solo tutelati e che solo l’impegno personale può consentire ad una donna di affermarsi.

Nel corso della pandemia il 98% di chi ha perso il lavoro è donna. Le donne sono impiegate soprattutto nei settori che più di tutti stanno vivendo la crisi, come quello dei servizi e quello domestico, spesso con contratti che danno poca sicurezza e stabilità, come il part-time. Per questo oggi sono le prime vittime sacrificali dei datori di lavoro, un fenomeno a cui nemmeno il blocco dei licenziamenti è riuscito a mettere un freno.

Ancora oggi il 51% degli italiani ritiene giusta l’affermazione “il ruolo primario della donna è occuparsi della cura della casa e dei figli”. È evidente che la cultura patriarcale è ancora largamente diffusa e permea il nostro modo di concepire i ruoli di genere e nominarli.

Il patriarcato infatti è la struttura sociale che si basa sul binarismo di genere, la netta bipartizione fra le caratteristiche associate alle donne e quelle associate agli uomini e sul ruolo associato a queste caratteristiche. 

Il binarismo di genere, continua ad essere radicato nella società, e inculcato nei bambini sin dalla nascita. I bambini imparano presto che gli adulti hanno aspettative diverse, a livello comportamentale, a seconda del genere e di conseguenza imparano a comportarsi come ci si aspetta da loro, perpetuando idee stereotipate come quelle che vogliono come qualità maschili la testardaggine, la determinazione, la combattività, l’abilità matematica e l’interesse per le costruzioni, mentre come qualità femminili la grazia, la civetteria, la gentilezza, l’abilità nelle materie umanistiche e l’interesse per bambole e trucchi.

La società dovrebbe impegnarsi nel creare una cultura il più possibile volta a favorire il libero sviluppo dell’individuo, rimuovendo i modelli “a senso unico”, il binarismo di genere, l’eteronormatività, e ogni sorta di preconcetti e stereotipi discriminanti.

In ambito psicoanalitico i  rapporti di potere e di dominio tra i sessi sono stati il fulcro delle riflessioni di Jessica Benjamin principale esponente della psicoanalisi relazionale. Nel suo primo lavoro del 1988 Legami d’amore. I rapporti di potere nelle relazioni amorosesi è interrogata sul perché nelle relazioni amorose tendono a prevalere i rapporti di dominio e di sottomissione e perché è così difficile riconoscere e accettare l’autonomia dell’altro.

A partire dal rapporto madre-bambino e dalla creazione di ciò che consideriamo “maschile” e “femminile”, ricostruisce la struttura del dominio erotico e ci aiuta a capire le ragioni per cui un atto d’amore può trasformarsi in pratica di sottomissione. Jessica Benjamin ripercorre le diverse teorie psicoanalitiche, alla ricerca delle condizioni che impediscono a uomini e donne di riconoscersi reciprocamente come soggetti.

“ […] da un lato, affermo che abbiamo bisogno di un riconoscimento reciproco per poter sviluppare le nostre facoltà, un’affermazione che postula una sorta di posizione evolutiva essenziale tipica della psicoanalisi; dall’altro, la mia teoria sociale e politica sostiene la necessità di un riconoscimento reciproco per poter vivere liberi dal potere e in modo non violento. Ho collegato queste due posizioni, suggerendo che l’esito di un mancato riconoscimento è il dominio sull’altro e che la costruzione della soggettività e della relazione tra sé e l’altro è la necessaria base materiale per una intersoggettività non coercitiva.” 

Ne  testo del 1995 “Soggetti d’amore. Genere, identificazione, sviluppo erotico Jessica Benjamin presenta la sua “eterodossia dei sessi“, modo originale di concepire somiglianze e differenze tra uomini e donne. Sviluppando in modo personale il pensiero di Winnicott sulla differenza tra la percezione dell’altro come oggetto esterno e la sua presenza nel mondo interno come “oggetto soggettivamente percepito“, l’autrice propone un modo diverso di intendere i rapporti umani, in particolare – ma non solo – i rapporti tra individui di sesso diverso.

Percepire nell’altro sentimenti e desideri simili ai propri e accettare nel contempo che l’altro abbia, come noi, una volontà propria, è il nucleo del riconoscimento e del rapporto con la differenza. Percepire la differenza, però, vuol dire rinunciare al sogno onnipotente di un oggetto-parte di sé che abbia l’unico ruolo di soddisfare desideri e bisogni, vuol dire provare risentimento e manifestare aggressività. La Benjamin illustra quindi le vicende della pulsione aggressiva che hanno svolgimento diverso a seconda di come i primi “altri” che il bambino incontra sanno rispondere ai suoi attacchi aggressivi. In questo modo, il rapporto madre-bambina-o, e soprattutto il rapporto padre-bambina, acquista un senso nuovo che permette una migliore comprensione dello sviluppo dell’identità di genere. La prospettiva intersoggettiva non sostituisce quella intrapsichica ma la completa e la arricchisce; l’autrice propone così una integrazione tra psicoanalisi e femminismo, tra prospettiva intrapsichica e relazionale.

Ne “L’ombra dell’altro. Intersoggettività e genere in psicoanalisi”  del 1997 sviluppa il concetto di riconoscimento reciproco. Nella visione di Jessica Benjamin, intersoggettività indica lo spazio in cui si intrecciano e si sovrappongono psicoanalisi e teorie femministe, e l’essenza della psicoanalisi è definita come spazio di riconoscimento. Al di là dell’ambito psicoanalitico, le tematiche affrontate sono quelle della differenza, della posizione del soggetto e della costruzione della conoscenza.

Nel suo ultimo testo 2017 Il riconoscimento reciproco. L’intersoggettività e il Terzo, presentato  a Genova nel 2019  nella nostra Scuola di Psicoterapia Comparata,  l’autrice amplia la sua teoria del riconoscimento reciproco visto come unica alternativa alla tirannica complementarità del “chi agisce-chi è agito”.

 Le riflessioni di Benjamin illuminano il profondo potenziale del concetto di “riconoscimento” sia nella guarigione del trauma individuale e sociale sia nella creazione di una riparazione relazionale, che divengono possibili soltanto nello spazio trasformativo della terzietà. 
“[…] nel mio pensiero, il concetto di riconoscimento reciproco include l’autonomia, o meglio la mantiene trasformandola in uno dei poli della inevitabile tensione tra indipendenza e dipendenza tra soggetti, cioè della differenziazione. Opporre l’idea di riconoscimento a quella di autonomia potrebbe essere fuorviante o contraddittorio, perché negherebbe che il riconoscimento richiede di accettare l’indipendenza e l’inconoscibilità dell’altro.