I paesaggi dell’ansia

Apr 16, 2021 | Io, tu, noi, La psiche quando soffre

Josephine Cardin, fotografa dominicana, naturalizzata americana, indaga la sensibilità umana e temi come la solitudine, l’isolamento, la malinconia, e l’ansia. A quest’ultima, nel 2006, ha dedicato una raccolta di scatti, Feels Like, per esorcizzare la paura degli attacchi di panico e per usare l’arte in modo curativo. Nelle sue fotografie prendono forma, accostando anche un sapiente uso del disegno a carboncino, aspetti dell’ansia come la depersonalizzazione, il senso di soffocamento, la paura stessa.

Da sempre la psicoanalisi ha intessuto con l’arte, nelle sue varie forme, un dialogo fruttuoso e creativo; rivolgersi all’arte significa anche riflettere sulla sofferenza psichica: l’arte e l’artista sondano le pieghe delle esperienze umane, creano mondi per rappresentarle e renderle universali. L’arte, nelle sue diverse declinazioni, (letteratura, pittura, musica, fotografia, cinema, teatro) ci permette di cogliere immagini diverse del vissuto dell’ansia e delle forme che può assumere, passando dall’inquietudine sino agli abissi dell’angoscia più profonda.

Che cos’è l’ansia?

L’ansia è struttura fondamentale della condizione umana, fa parte della vita dell’uomo e l’uomo da sempre ha avuto a che fare con essa, nelle sue forme fisiologiche e nelle sue manifestazioni patologiche. L’etimologia del termine ansia deriva dal latino angere che significa “stringere”. Quando si parla dello stato d’ansia si fa riferimento a un senso di soffocamento, di affanno in cui il soggetto ha la sensazione di soccombere perché qualcosa lo opprime.

L’ansia, come le altre emozioni, ha una funzione adattiva. È, come il dolore, un’esperienza fondamentale della nostra vita a tutela della nostra sopravvivenza in relazione all’ambiente esterno o interno. L’ansia ha una modalità di espressione mobilissima e camaleontica e può essere concettualizzata lungo un continuum fisiologico-patologico.

Per distinguere quando l’ansia è una risposta fisiologica e quando invece potrebbe far parte di un quadro psicopatologico possiamo fare riferimento al contesto che innesca la reazione ansiosa: nei casi di ansia patologica la risposta ansiosa è incongruente rispetto alla situazione scatenante, per lo meno per come viene valutata dalla maggior parte delle persone. Un altro criterio è l’intensità della reazione ansiosa: essere ansiosi di fronte a una prova importante o difficile è diverso dall’essere ansiosi a tal punto da non riuscire ad affrontarla. Infine un terzo criterio riguarda la frequenza e pervasività delle reazioni ansiose nella vita affettiva, sociale e professionale.

L’ansia è sintomo comune a molti quadri psicopatologici e si stima che i disturbi d’ansia siano più diffusi di ogni altro tipo di disturbo psichiatrico: la loro incidenza è del 18,1% e la prevalenza, nel corso della vita, arriverebbe fino al 28,8%.

Ansia e coronavirus

In questo particolare momento storico, la pandemia da coronavirus ha messo a dura prova la salute mentale di tutta la popolazione, facendo rilevare un notevole incremento di disturbi d’ansia e depressivi e una crescita significativa del consumo di psicofarmaci. Isolamento sociale e restrizioni,  paura del contagio, cambiamenti nei ritmi di vita,  difficoltà economiche e incertezza del futuro impattano sulla mente e portano l’attenzione su quanto la salute necessiti di fondarsi su una visione globale che non possa prescindere dalla centralità della salute mentale per il benessere individuale e collettivo. Anche i rapporti familiari (genitori-figli o tra partner), interessati dalle convivenze forzate e dalla riorganizzazione degli ambienti di vita domestica alla luce dei nuovi ritmi di lavoro e didattica a distanza, hanno risentito di tensioni e difficoltà relazionali.

La pandemia sta provocando una serie di conseguenze sulla psiche così profonde da aver spinto l’Organizzazione mondiale per la sanità a lanciare l’allarme sulla necessità di tutelare la nostra salute mentale. L’Oms ha anche diramato un vademecum su come affrontare il tema e quali precauzioni adottare distinguendo varie categorie della popolazione: anziani, personale sanitario, parenti delle vittime, persone contagiate, bambini. Il Coronavirus sta cambiando in ognuno di noi la percezione del pericolo, aumenta l’intolleranza all’incertezza e al rischio e non lascia indenne nessuna fascia d’età, presentando il conto sul piano della salute mentale.

Per quanto riguarda i più piccoli, i genitori riferiscono di disturbi dell’alimentazione sia come sintomo d’ansia che come conseguenza al cambiamento di abitudini, alla modificazione delle ritualità e occasioni di socialità, fondamentali per loro. Gli insegnanti riportano che sono più agitati, angosciati e c’è un’insolita aggressività fra loro.

Gli adolescenti non possono fare sport, andare a ballare, organizzare feste e gran parte delle occasioni di incontro è solo virtuale. Durante l’anno hanno percepito il disordine nell’organizzazione perché la scuola per adattarsi alle quarantene ha dovuto alternare la didattica in presenza a quella a distanza e così non hanno avuto la possibilità di organizzarsi o hanno subito repentini cambiamenti che hanno determinato instabilità emotiva.

La Società italiana di neuropsicofarmacologia prevede che, al termine della pandemia, ci saranno un 28% di disturbi post traumatici da stress e un 20% di disturbi ossessivo- ansiosi; inoltre, il 10% delle persone che hanno avuto il Covid svilupperà una depressione importante.

Un altro aspetto che ha incrementato l’ansia è stato sentire pareri così discordanti provenire dal mondo scientifico e accademico: opinioni diverse sulle misure da adottare, le previsioni e le cure rafforzano il diritto ad avere paura.

Concettualizzazione psicoanalitica dell’ansia

In ambito psicoanalitico più che di ansia si parla di angoscia e l’evoluzione teorica di questo concetto, molto complesso, ha contribuito alla comprensione clinica di alcune situazioni psicopatologiche, soprattutto di quelle condizioni cliniche in cui gli stati d’angoscia esprimono sottostanti problematiche del sé. Si tratta di situazioni in cui l’ambiente sembra essere stato inadeguato a fornire le condizioni necessarie allo sviluppo di un senso d’identità stabile e allo sviluppo della capacità di contenimento e di elaborazione dell’angoscia.

In un primo momento in Freud prevale una concezione economico biologica della pulsione e della scarica, in cui l’angoscia è definita come un eccesso di libido che si accumula e non può essere trasformata mediante il legame con la rappresentazione. L’eccitazione eccessiva derivante da tensioni somatiche mancanti di rappresentazione e di legame comporta una reazione di “scarica” attraverso canali neuro vegetativi.

Successivamente Freud introduce i concetti di rimozione e di sintomo psiconevrotico: la rimozione trasforma in angoscia l’affetto legato alla rappresentazione rimossa. Con l’introduzione della teoria strutturale diviene possibile concepire l’esistenza di un’istanza che può rispondere con l’ansia a situazioni di pericolo sia interne che esterne.

In “Inibizione sintomo e angoscia” (1925) emerge la distinzione tra angoscia come “segnale di pericolo” e angoscia come “reazione al pericolo” e l’Io viene definito come l’istanza psichica che percepisce l’angoscia in quanto simbolo “mnestico” o “affettivo” di una situazione di pericolo. L’angoscia nevrotica è una reazione ad un pericolo pulsionale interno. Affermando che le situazioni infantili di pericolo e angoscia mutano nei diversi stadi della vita, e criticando la tesi di Rank secondo la quale il trauma della nascita costituisce l’angoscia unica e ubiquitaria, Freud sottolinea come il trauma della nascita venga invece man mano sostituito dal trauma della perdita dell’oggetto, dalla paura di perderne l’amore, dall’angoscia di castrazione e dal sentimento di colpa, la paura della punizione o della perdita dell’amore di quella parte della struttura psichica che ha preso il posto dell’autorità genitoriale.

Nella teorizzazione kleiniana il problema dell’angoscia appare centrale e il presupposto di base è l’esistenza di un Io precoce capace di difendersi e di precepire l’angoscia. L’autrice distingue un’angoscia persecutoria, legata prevalentemente a vissuti di minaccia per l’Io, da un’angoscia depressiva, riferita invece a vissuti di perdita e minaccia dell’oggetto d’amore. In seguito la Klein accoglie l’ipotesi della centralità della paura di annichilimento nelle prime esperienze di vita ed individua come prima causa di angoscia la risposta all’istinto di morte, esistente negli strati più profondi della mente fin dall’inizio della vita, in termini di paura di essere annientati. La successiva proiezione all’esterno aiuta l’Io a superare l’angoscia liberandolo da ciò che è pericoloso e minaccioso.

Anche Winnicott sposta l’attenzione della sua ricerca ad angosce più precoci e primitive; la sua teorizzazione pone l’accento sul ruolo cruciale della risposta dell’ambiente e si declina all’interno di un modello evolutivo che riguarda la strutturazione del Sé e lo sviluppo dell’identità.

Se la madre non sostiene e facilita il senso di “onnipotenza” infantile, procurando al bambino un ambiente adeguato e rispondendo ai suoi bisogni, il bambino reagirà con un eccesso di angoscia e con una condiscendenza (stadio primario precoce del falso Sé), conseguente all’incapacità della madre a identificarsi con il suo bambino e presentirne i bisogni. Questo causerà gravi interferenze nello sviluppo della personalità.

La relazione tra la madre e il bambino diventa fondante per lo sviluppo dell’identità e del senso di sé vitale; la naturale funzione materna di cura fornisce un ambiente “che sostiene” (holding) e attraverso cui il bambino si sente contenuto e può sperimentare il proprio senso di esistere come individuo. Il processo evolutivo si compie attraverso la progressione da stati di non integrazione ad esperienze di sempre maggiore unità ed integrazione nella continuità dell’essere, dove i confini del corpo e della psiche divengono sempre più definiti. Un’interferenza nel senso di continuità dell’esistenza causerà lo sviluppo di angosce specifiche, che Winnicott definirà come angoscia di “andare in pezzi”, “essere annientato”, “angoscia di non esistenza”.

Vi sono alcune analogie tra il concetto di holding di Winnicott e il concetto di madre contenitore di Bion.  Se la madre è in grado di capire e agire in funzione delle richieste del bambino, a seconda dei casi prendendolo in braccio, nutrendolo e consolandolo, il bambino sente che si è sbarazzato di qualcosa di insopportabile, ponendolo dentro la madre che ne ha fatto qualcosa di sopportabile. La madre funziona come un contenitore che riceve le angosce e le emozioni del neonato, trasformandole e bonificandole.

Bion e Winnicott, seppure attraverso differenti intuizioni e riferendosi a modelli teorici diversi, sembrano concordare su un punto fondamentale: le madri che non possono accogliere, comprendere e rendere tollerabili (restituendole trasformate) le angosce primitive dei propri figli, fanno mancare loro una struttura psichica di base di cui hanno bisogno per costituire un senso di sé vitale. La cura analitica si configura allora come un’opportunità di contenimento e trasformazione di intollerabili angosce (che possono diventare pensabili) e può fornire un ambiente adeguato, uno spazio potenziale dove è possibile il cambiamento.

La dimensione clinica dell’ansia

L’ansia contrassegna le esperienze psicopatologiche inserite nel contesto delle nevrosi d’ansia, ovvero l’ansia generalizzata, le esperienze d’ansia panica e quelle che scaturiscano dinanzi a situazioni ben definite tematicamente, ovvero l’ansia fobica.

L’ansia generalizzata è contrassegnata dalla presenza di un’ansia liberamente fluttuante che tende a dilagare nel corso del tempo, riempiendo di sé ogni attività quotidiana; la connotazione paradigmatica di queste condizioni sta nel suo essere presente continuamente alla coscienza dei pazienti e nel suo estendersi nel tempo, sia pure con alte e basse maree emozionali. L’ansia fobica e l’ansia panica hanno invece forme d’espressione tendenzialmente acute.

Nelle esperienze di ansia panica le crisi acute di ansia travolgono una condizione di vita che si svolgeva, almeno apparentemente, senza evidenti incrinature emozionali. Dall’esordio la crisi raggiunge rapidamente la sua piena espressione sintomatologica e diminuisce poi gradualmente d’intensità, lasciando dietro di sé una sensazione di sollievo e astenia. Quello che contraddistingue la fenomenologia dell’ansia panica è lo slittamento imprevedibile da una sensazione di compensazione emozionale a una condizione di lacerazione emozionale, apparentemente sganciata da motivi interiori o cause ambientali e immersa in uno stato d’animo di morte imminente. La componente emozionale si accompagna contestualmente alla componente somatica: si ha la sensazione di soffocare e si sente il cuore in gola, si è sommersi dalla sudorazione o colti da vertigine, ci si fa estranei al mondo delle cose e delle persone.

Nell’ansia fobica le ansie e i timori scaturiscono in correlazione ad una situazione specifica.  Ogni esperienza fobica si scompone in queste tre aree sintomatologiche: la paura di essere confrontati con la situazione o oggetto che mette in moto l’ansia; la risonanza ansiosa nei confronti della situazione stimolo che trascina con sé l’espressione emozionale acuta e il comportamento rivolto a evitare quella situazione e fuggire da essa.

Il timore del morire e l’angoscia della morte sono realtà tematiche che si osservano in ogni forma clinica d’ansia, che lascia intravedere nello sfondo l’ombra della morte come sua metafora, ma anche come sua sorgente. Quando l’ansia ci sommerge è come se la vita fosse sul punto di essere sospesa, pronta a inabissarsi nella morte. L’ansia è un’agonia: una lotta disperata in cui ci si dibatte contro il mondo e contro se stessi in un’atmosfera di paura profonda.

Oltre alle strutture cliniche che abbiano l’ansia come elemento sintomatologico radicale ed essenziale, l’ansia può manifestarsi anche come elemento sintomatologico aggregato ad altri tratti (depressivi, dissociativi, ossessivi). L’ansia può essere l’epifenomeno di molte altre manifestazioni cliniche: può essere assorbita (e nascondersi) nel delirio, nella tossicomania, nelle diverse forme di disturbo psicosomatico, ma può anche accompagnarsi al nascere e al divenire dell’esperienza depressiva.

La dimensione esistenziale dell’ansia

L’ansia è un’esperienza non solo psicopatologica e clinica, ma anche umana ed esistenziale e la riflessione filosofica si è a lungo soffermata sull’essenza del vissuto di ansia.

Heidegger situa alla base dell’angoscia l’essere nel mondo in quanto tale; il minaccioso non è in nessun luogo: è così vicino che ci opprime e nondimeno non è in nessun luogo. L’angoscia è considerata come la situazione emotiva che sottrae l’esistenza alla sua quotidianità, ma anche confrontazione con la possibilità della morte.

Ogni volta che siamo sfiorati, o sommersi, dall’ansia, le categorie spaziali e temporali si modificano, cambia la forma con cui passato, presente e futuro si collegano reciprocamente. In ogni situazione d’ansia passato e futuro precipitano e sprofondano nel presente: nel gorgo di una vertiginosa accelerazione e anticipazione del futuro che non è vissuto come possibile, ma come già realizzato in un qui e ora in cui rifluiscono anche gli eventi del passato. Questo modo di vivere il tempo in un movimento senza fine che fonde e confonde le tre dimensioni temporali non ci consente di ancorare la nostra esistenza al tempo, come scorrere ininterrotto di esperienze e ci travolge in una dolorosa lacerazione interiore.

Anche l’altra categoria fenomenologica dell’esistenza, lo spazio, subisce una metamorfosi quando l’angoscia ci sommerge: gli spazi si oscurano e si fanno indistinti, non c’è più la dolcezza e la tenerezza dei paesaggi e ci sono invece i segni di un’ardente sofferenza delle cose e delle persone. Quando si è sprofondati nell’angoscia, il mondo si fa estraneo.

L’angoscia può essere uno stato d’animo che trascina con sé inquietudine e sofferenza, ma può anche essere sonda che dilata i confini della conoscenza emozionale.

In questa area, la nostalgia è un’emozione che non può essere separata da quella dell’angoscia e della tristezza, del dolore e della speranza infranta: esperienze che sono legate le une alle altre. La nostalgia si nutre di ansia del ritorno e di tristezza della lontananza, è qualcosa di bruciante, dolce e lancinante che ferisce la memoria incidendo in essa un solco di dolore e speranza infranta. La nostalgia è questa ferita dell’anima: questa speranza che resiste al dilagare dell’ansia e del dolore, questa memoria che ritorna alle esperienze del passato e questa tristezza che si alimenta di cose mai accadute.

Altre esperienze umane, come la solitudine, nascondono al loro interno l’ansia. Nella solitudine si cerca qualcosa che attenui l’angoscia e rilanci la speranza: la solitudine come modo di essere intenzionale, che sospinge a ritirarsi nella propria interiorità, come scelta nei confronti di situazioni che trascinano con sé inquietudine e angoscia, ma anche solitudine come lontananza dalle cose che l’angoscia porta con sé e la solitudine consente di filtrare. Dalla solitudine creativa che ci fa perdere il contatto col mondo, ma ne recupera le dimensioni più profonde e radicali, fa sgorgare in noi speranze e risorse, alla solitudine che l’angoscia trascina con sé e si fa isolamento. Nell’isolamento si ha esperienza di un vuoto che si tende a riempire con forme di esistenza effimere e private di senso.

Altra espressione significativa dell’ansia può essere la timidezza, che fa temere i contatti con gli altri, fa temere che in questi ci sia rifiuto e aggressività, ma resta pur sempre assetata di aiuto e di comprensione umana.

Gli aspetti molteplici con cui l’ansia si delinea nella nostra vita la rendono una condizione emozionale che riguarda ciascuno di noi e che suscita sentimenti di solidarietà tra noi. Faccio mie le parole di Eugenio Borgna: “L’ansia che intravedo in questo paziente non è qualcosa che mi allontani o mi separi dall’altro, ma è qualcosa che provo e sento in me e che mi avvicina all’altro, facendo franare almeno in parte la sua solitudine e la mia solitudine”.